Riceviamo da una nostra Socia e volentieri pubblichiamo:
“Una consapevolezza che ancora non c’è” di Katia Mammola
La tragedia che nei giorni scorsi ha colpito l’Emilia Romagna ha certamente coinvolto emotivamente tutto il Paese: le immagini impietose del disastro e della sofferenza hanno travalicato l’indifferenza del quotidiano ed il cinismo strutturale della politica. Tuttavia, un interrogativo di fondo, imprescindibile quanto disatteso nei lunghi decenni trascorsi, si affaccia prepotente.
Non valgono le analisi a posteriori, le facili recriminazioni, gli angosciosi interrogativi sui fondi dedicati e mai spesi: è ciò che puntualmente segue a queste “cronache di morte annunciata”. Tanto vani sono gli allarmismi precedenti una catastrofe, quanto inutili sono i buoni propositi e le facili promesse: tra venti giorni la Romagna sparirà dai media e dall’immaginario collettivo e poco o nulla cambierà nella gestione della cosa pubblica e nella prospettiva degli italiani.
La domanda da porsi, allora, è in sé molto semplice: qual è il livello di consapevolezza, in Italia e nel mondo occidentale in generale, riguardo ai sempre più urgenti problemi ambientali? Perché l’attenzione al risparmio energetico, alla tutela del verde, alla gestione dei rifiuti urbani, al mantenimento del decoro cittadino, alla salvaguardia di un patrimonio artistico ineguagliabile, all’utilizzo responsabile dell’acqua potabile, perché questo (e molto, molto altro ancora) non divengono spina costante del nostro abito mentale, impriting salvifico senza condizioni e senza deroghe?
Un sondaggio, effettuato da Demos pochi giorni prima della tragedia romagnola, (l’ultimo in ordine di tempo) ha affrontato, ancora una volta, la questione dei rischi ambientali. Ebbene, sembrerebbe che, negli ultimi anni, il rischio ambientale cominci ad essere percepito, in Italia, come rilevante, serio, minaccioso, superiore rispetto alla crescita economica. Soprattutto dai giovani e trasversalmente rispetto agli orientamenti politici.
Ecco: il timore diffuso ma ancora poco “strutturato” deve prendere sostanza. E deve affermarsi la consapevolezza che i fenomeni naturali -che da sempre mettono in scacco l’uomo ed i suoi insediamenti- vengono amplificati in maniera abnorme da mutamenti correlati ad azioni antropiche. Chi ne sono artefici? Gli attori economici, va da sé. Le istituzioni, siamo concordi. E… noi?
Ogni singolo soggetto, persona e cittadino al contempo, ogni singola associazione grande o piccola che millanta, a torto o a ragione, crediti di tutela dell’ambiente, ogni gestore della formazione e dell’educazione delle generazioni future a tutti i livelli, scuola, università, chiesa, partito, famiglia, ognuno è protagonista e responsabile di una storia ormai in atto. Che ci piaccia o meno, siamo singolarmente coinvolti in un processo di progressivo deterioramento (depauperamento) del quale la maggior parte della società non ha preso atto. Dimenticando, escludendo, disinteressandosi. Occorre agire, comprendendo che ogni singolo gesto pesa. Non serve scomodare le leggi del caos: le ripercussioni nel tempo e nello spazio di eventi all’apparenza insignificanti sono note a tutti, in teoria. In un mondo digitalizzato e globalizzato, nel quale i media non esitano a pubblicizzare il dolore ed evocare la commozione, registrando fin troppo facili indici d’ascolto, stupisce che la consapevolezza del rischio ambientale non sia acquisito appannaggio dei giovani e patrimonio universale. Oggi non è toccato all’Emilia Romagna, bensì a noi tutti e, comunque, toccherà alla Lombardia , alla Calabria, alla Sardegna.
La nostra Associazione, AMUSE, opera in questa prospettiva: ci dobbiamo far carico in prima persona del nostro municipio, del nostro quartiere, della nostra casa, di tutto ciò che è meritevole di tutela e che è nostro esclusivamente per il profilo di salvaguardia in nome del quale operiamo. Agire è, dunque, l’imperativo categorico: interrogarsi incessantemente e costruirsi una coscienza rispettosa degli altri e di ciò che appartiene a tutti: non adesso, non qui. Domani ed ovunque.