Inceneritore o Termovalorizzatore?

AMUSE nel 2024, attraverso il progetto TuteliAMO, ha realizzato un ciclo di cinque conferenze, che si concluderanno il 15 maggio, nelle quali si è parlato dell’ “Ambiente quale meritevole di Tutela” e a tal proposito riceviamo queste riflessioni dai nostri soci Francesco De falco e Piergiorgio Bellagamba su un tema specifico molto sentito e dibattuto che volentieri pubblichiamo.

“L’Inceneritore di Santa Palomba”: parafrasando Nanni Moretti verrebbe da dire: “Ma come parla, come parlaaaaa!!! Le parole sono importanti!!!!!”.  E sì, le parole sono importanti, sempre, ma lo sono ancora di più in ambito tecnologico, così come nell’informazione, perché il contesto aggiunge un suo specifico peso alla proprietà di linguaggio.

Gli impianti per consuetudine vengono identificati dal nome della loro funzione principale; l’Inceneritore non fa eccezione, perché il suo unico scopo è appunto di ridurre in cenere i rifiuti, al fine di abbattere dell’80-90% il volume da portare in discarica.

Ovviamente, tutti gli impianti a combustione “inceneriscono” il combustibile, come ad esempio la caldaia da riscaldamento domestico o quelle delle centrali termoelettriche, che però non definiamo inceneritori, come non si definisce “inceneritore” nessun altro dei tanti impianti industriali che utilizzano Caldaie, ma li denominiamo proprio in base alla funzione per la quale vengono progettati e utilizzati. Analogamente per l’impianto di Santa Palomba, che è finalizzato a recuperare energia e materie dai rifiuti attraverso la combustione dei rifiuti, la definizione più appropriata dal punto di vista tecnico e della comunicazione è Termovalorizzatore.

Pertanto, quando si definisce tout-court ”inceneritore”, senza ulteriori specificazioni, l’impianto di Santa Palomba o quello di Copenaghen, bisogna essere coscienti che si utilizza di fatto una terminologia ingannevole.

Il termine Inceneritore, infatti, è indissolubilmente legato alle diossine e, per estensione, al disastro di Seveso (1976), che per la prima volta rese di pubblico dominio le paure per i danni gravissimi provocati da questi contaminanti, prodotti dalla combustione delle plastiche, se questa avviene senza l’utilizzo di adeguati sistemi di abbattimento. Definire Inceneritori i Termovalorizzatori, soprattutto di fronte al pubblico che, di norma, non dispone di un adeguato bagaglio di conoscenze specifiche, determina inevitabilmente un rimando ai disastri delle diossine e si compie, più o meno consapevolmente, un’opera di disinformazione

La giustificazione che “tutti nel mondo li chiamano Inceneritori” è una pezza peggiore del buco, prima cosa perché non è vero, come dimostrano i Waste-to-energy plants del mondo anglosassone o le Unités de Valorisation Énergétique des déchets (UVED) nei Paesi Francofoni, seconda cosa perché, preso atto che si tratta di un termine ingannevole, è bene adeguare il linguaggio al contesto se si vuole dare un’informazione tecnicamente corretta e neutrale.

Dal punto di vista tecnologico, i moderni Termovalorizzatori stanno agli inceneritori del secolo scorso come i moderni aerei a reazione stanno ai prototipi dei Fratelli Wright. Il livello di emissioni di diossine è bassissimo, molto al di sotto dei limiti ritenuti d’”attenzione” per la salute e per l’ambiente, sia per la migliore capacità di controllo della combustione e dello scambio termico, che riduce al minimo la formazione delle diossine, sia per le tecnologie di abbattimento a valle (iniezione di reagenti, filtri a carbone attivi, etc.), che servono a ridurre ulteriormente le concentrazioni in uscita[1]. Processi analoghi sono utilizzati anche per le altre sostanze inquinanti o climalteranti che possano essere presenti nei fumi. Per molti di loro, così come per la CO2 in particolare, c’è da considerare anche la “neutralizzazione” dell’impronta ambientale, perchè i Termovalorizzatori generano energia termica e/o elettrica che sostituisce quella che altrimenti sarebbe stata prodotta da impianti termici convenzionali, con produzione di CO2 praticamente equivalenti.

Le norme in vigore, inoltre, prescrivono il monitoraggio in continuo delle emissioni, per controllare il rispetto puntuale e medio dei limiti di legge, nonché la trasparenza di tali informazioni verso le Autorità ed i Cittadini in genere.

Non va, infine, dimenticato, che l’alternativa ai Termovalorizzatori ed agli altri impianti di recupero energetico per i rifiuti non differenziabili o scartati dai processi di riciclo è oggi costituita solo dal conferimento in discarica; la peggiore soluzione possibile. Non è un caso, infatti, che il recupero energetico da rifiuti sia di gran lunga la soluzione maggiormente adottata dai Paesi Europei ambientalmente virtuosi, dove le politiche di differenziazione e di economia circolare non hanno affatto subìto alcuna riduzione.

Nel 2010 è stato istituto il titolo di Capitale Verde dell’Europa; se lo sono aggiudicate nell’ordine le città di Stoccolma, Amburgo, Vitoria-Gasteiz (Spagna), Nantes, Copenaghen, Bristol, Lubiana (Slovenia), Essen (Germania), Nijmegen (Paesi Bassi), Oslo, Lisbona, Lahti (Finlandia), Grenoble e Tallin (Estonia) cui è stato assegnato il titolo di Capitale Verde 2023. Tra i parametri utilizzati per l’assegnazione del titolo c’è anche l’efficienza verde nella gestione dei rifiuti e un elemento comune a queste città è che tutte ricorrono alla termovalorizzazione.

Così come utilizzano i termovalorizzatori tutte le principali città Europee; Parigi ne ha tre, Londra due. Anche Vienna ha tre termovalorizzatori, tra i quali quello di Spittelau, che alcuni anni fa è stato ristrutturato esternamente dall’architetto ecologista Friedensreich Hundertwasser ed oggi è meta di visite di cittadini e studenti.

In Italia sono in funzione 37 Termovalorizzatori, tra i quali quelli di Torino, Parma, Brescia, Acerra. A Milano c’è un termovalorizzatore, Silla 2, nel quartiere Figino; il suo camino, alto 120 metri, è rivestito con un materiale fotocromatico che permette al suo colore di modificarsi insieme a quello del cielo.

Come dimostra anche Copenaghen, i Termovalorizzatori vogliono partecipare anche alle nuove frontiere dell’Architettura moderna!

Francesco De Falco, Piergiorgio Bellagamba – Soci AMUSE


[1] Le diossine sono termicamente molto instabili e bastano pochissimi secondi di permanenza a temperature elevate, intorno agli 850°C, per abbatterle. Eventuali piccole quantità di diossine che dovessero ricostituirsi con il raffreddamento dei fumi, vengono catturate con i sistemi di trattamento a valle, prima del rilascio al camino. Le migliori tecnologie odierne mantengono le emissioni massime intorno all’1% del limite ammesso dalla legge.

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